Storia di una cellula che si credeva al centro dell’Universo

per un’avventura condivisa tra micro e macrocosmo
(tempo di lettura circa 16′)

In quel tempo una cellula (che faceva parte di un organo, che faceva parte di un uomo), viveva concentrata nella sua attività quotidiana di mantenimento della propria salute e se possibile di incremento delle proprie riserve. Assorbiva il cibo attraverso il liquido in cui era immersa, lo trasformava, ne ricavava energia, la accumulava per i periodi di carenza… si faceva largo nel suo ambiente.
Aveva meticolosa cura del proprio corpo e di ciò che poteva servirgli. Il suo mondo era questo. Non aveva tempo per guardare oltre, nemmeno per capire se era felice.
Le sue uniche rare relazioni erano con le cellule a lei strettamente vicine: l’intenzione? Convincerle che il miglior stile di vita era proprio il suo.

La propria auto-sufficienza (?) la rendeva forte, anche se talvolta affiorava un’inquietudine di fondo, un vago senso di angoscia, forse dovuto all’incapacità di convincerle tutte. O forse era un senso di solitudine, una sorta di insoddisfazione sottotraccia, che nascondeva anche a sé stessa.
Ben presto, tuttavia, riusciva sempre a recuperare la sua sicurezza (?) ritenendo, sinceramente, che la sua condotta potesse essere d’esempio per tutti.
Allo stesso modo, aiutare altre cellule a risolvere un problema, cosa per la quale si sentiva generosa e altruista, non si limitava affatto a prospettare altre vie di soluzione, ma si traduceva nell’imporre la sua unica visione.
Nel suo egoistico isolamento quasi non conosceva l’organo di cui faceva parte, e ancor meno gli organi vicini. Non aveva idea dell’esistenza dell’uomo entro cui si trovavano molti altri organi. Non conosceva la società degli uomini, non conosceva la terra né i pianeti. Tanto meno cosa fosse l’Universo.
Lei era il “centro” e si dava da fare affinché tutti seguissero il suo pensiero!
Molte altre cellule vicine a lei pensavano la stessa cosa e si comportavano allo stesso modo: dimenticavano o ignoravano le cellule loro vicine, se non per un interesse utilitaristico. Per molte di loro la maggior soddisfazione derivava dal sentirsi la più forte, di avere più valore, di poter lasciare alla fine della propria vita un “segno” delle proprie capacità e dei propri meriti.

La vita della cellula di questa storia, in realtà, dipendeva molto dalle altre cellule, e ciò valeva, viceversa, per le altre. Infatti se solo una delle cellule vicine si fosse ammalata, le sostanze tossiche (fattori di necrosi) da lei prodotte avrebbero finito per intossicare lei stessa, e ci sarebbe stata una concreta possibilità di espansione del danno a tutto l’organo, ed anche oltre. La nostra cellula non sapeva che la sua salute e il suo benessere poteva essere tale solo se anche le altre cellule fossero state in salute.
Questo però era l’ultimo dei suoi pensieri. Lei cercava invece di immagazzinare quanta più energia possibile, a scapito delle sue vicine, cosicché la sua sorte, e la sorte delle sue vicine, avrebbe potuto precipitare rapidamente!

Certo, la prima azione utile per salvaguardare la sua vita era… curare sé stessa facendo il necessario per rimanere in salute senza trascurarsi. Ma la cura di sé, affrontata con perseveranza estrema, egoistica e incurante degli altri, e dei loro pensieri, non sarebbe stata sufficiente.
Chiusa in sé stessa, non aveva fiducia negli altri, non accettava “doni” gratuiti e diffidava di chi si mostrava amorevole nei suoi confronti. Preferiva far da sola e assolvere alle proprie necessità fin dove fosse stato possibile… Nemmeno gradiva troppo impegnare il suo tempo per incontrare e ascoltare gli altri, per dialogare o mangiare con loro, a meno che non ci fosse un’utilità, immediata o futura. Cellule estranee e in difficoltà erano considerate “portatrici di guai”, se non antagoniste o nemiche.
Sicuramente, infine, anche se avesse seguito tutte le “leggi” biologiche e sociali, di correttezza e di “non danno” nei confronti di altre cellule, dimostrando a tutti di essere diligente e scrupolosa, non sarebbe stato abbastanza. Sarebbe mancato ancora un elemento fondamentale…
L’Amore.
L’amore per le altre cellule che facevano parte, effettiva, della sua vita. Così, anche se un’altra cellula le avesse arrecato dei danni, l’avesse offesa o avesse addirittura attentato alla sua vita, la cosa migliore sarebbe stata “perdonarle” l’errore e volerle ancora bene, perché era proprio parte inscindibile della sua vita, parte di sè. Far del male ad un’altra significava far del male a sé stessa, non solo in senso salutistico. Amarla voleva dire amare anche sé stessa ed espandere l’amore.
Era un destino comune.
Una cellula, infatti, è si una parte isolata, singola, autonoma, ma allo stesso tempo indissolubilmente legata alle cellule vicine, all’organo cui fa parte… all’Universo!
E’ Unica, ma allo stesso tempo è Tutto.
Se non condivide le proprie energie, il cibo, la propria gioia, farà male a sé stessa oltre che alle altre.
Quella cellula non è che un punto all’interno di quell’uomo (una delle circa 37 trilioni di cellule), che a sua volta è un punto nell’universo.
Eppure sia la cellula che l’uomo si sentono di frequente, il centro dell’Universo!
Perché succede questo così spesso? Qual è l’errore fondamentale che ci fa perdere di vista la connessione esistente tra noi e agli altri?

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Di questa storia mi rimarranno in mente (forse solo nell’anima), pochi concetti fondamentali, o per meglio dire, solo alcuni essenziali “orientamenti” indistinti… ma permanenti:

  • Il pensiero, come la riflessione e il ragionamento, possono non essere così affidabili…
  • Seguire con cieca determinazione un obiettivo… di vita o un obiettivo secondario, così come ci è ispirato dalla nostra mente, potrebbe essere quindi pericoloso. Penso invece, valga la pena fare proprio il contrario: non di sicurezze dovremmo nutrirci.
    Ricordo queste parole: “finchè si è inquieti, si può stare tranquilli” (Julien Green). La strada giusta si può conquistare solo attraverso un Cammino che non ha fine. E’ il continuo ricercare, tra mille dubbi, alcune certezze, e poi ancora perplessità, ed anche sconforto, che ci fanno crescere. Penso che solo in questo modo ci si avvicini alla Verità.
  • Non è sufficiente, quindi, seguire con abnegazione e la più buona intenzione, le indicazioni di una dottrina, religione, le leggi dell’uomo o semplicemente i nostri migliori convincimenti, giusti che siano. Esiste un di più che è fondamentale: non sono certo il sacrificio o la rinuncia gratuita, poiché il dolore e la sofferenza già verranno in qualche modo da soli, senza auto-infliggerceli! E’ qualcosa che supera ogni altro nostro modo di agire: è l’Amore. L’amore che porta la Gioia. Se manca l’Amore, per noi stessi, per gli altri e per la Vita, sarà tutto inutile (l’amore per gli altri probabilmente non esiste senza l’amore per noi stessi, come pre-requisito).
  • Le regole e i precetti, propri o altrui, per quanto possano farci sembrare dalla parte del giusto, mancheranno di questo fondamentale elemento.
    Ed è gioia e benessere da sperimentare subito, non solo in un’altra vita. Chiunque seguirà questa strada, tutt’altro che facile, potrà sperimentare tutto questo anche dopo la morte? Io lo penso. Non sappiamo in che forma, come, perché. Intanto cogliamone la Bellezza.

La mia mente, che ora pensa e scrive, non è in grado di vedere o di conoscere ciò che sta oltre i miei più vicini confini.
Penso quindi che ogni uomo debba aver cura di sé. Debba amare sé stesso, perché ha un senso nell’Universo. Allo stesso tempo deve aver cura e amare gli altri uomini, come sé stesso.
Qualunque sia il proprio “credo”, la propria religione o assenza di religione, dovrebbe inoltre andare al di là della semplice cura propria e degli altri, del proprio ambiente (la Natura), concetti pur importanti, ma dovrebbe sperimentare invece la Gioia per far parte della Vita, per condividerla, per renderla universale.
L’Uomo, la Natura, l’Arte, la Musica, l’Estetica, la Poesia, la Conoscenza (la cultura), e la compartecipazione con gli altri uomini di tutto ciò, ci unisce veramente. Ci rende universali, ci rende desiderosi di rimanere sempre in cammino, di scoprire nuovi mondi e il nostro destino.
Essere soli, o in contrasto con gli altri, in lotta per possedere, ci allontana dalla Felicità.
Non esiste, dunque, solo il nostro corpo, né solo i pensieri (la mente), le paure, le esperienze positive o negative, nostre o altrui.
La scienza e la medicina ci dice che pensieri, emozioni, sentimenti, in definitiva sono influenzati semplicemente dall’attività elettrica e metabolica del cervello e degli organi. La chimica del nostro corpo e l’attività elettrica del nostro cervello sono ciò che influenza i nostri pensieri (attraverso le esperienze esterne!), e dei quali non siamo del tutto padroni.
Ma allora, siamo delle macchine, perfette o imperfette? O c’è qualche altro elemento che ci sfugge?
Non esistono leggi fisiche che spieghino come queste funzioni chimiche ed elettriche si trasformino in Coscienza. Cos’è lo stato di coscienza o di autoconsapevolezza?
E’ lo Spirito? E’ Energia? E’ l’Anima?
La spiritualità non è spiegata dalla scienza, né dall’intelligenza, dalla filosofia o dalla teologia.
Lo spirito forse (lascio ad ognuno libertà di credenza o percezione) esiste in quanto tale, senza forma. Non è cosa che si tocca, né segue un obiettivo concreto, non può modificare qualcosa.
E’ coscienza di sé, essere unico, ma in intima connessione con l’Universo.
E’ quella piccola parte di purezza che è rimasta in un angolo dentro di noi, prima che la nostra vita “nel mondo” cancellasse via via la nostra fiducia e innocenza, lasciando posto all’egoismo e ai pensieri più oscuri.

Se il tuo convincimento o se la religione si riduce a legge, regole morali o divieti, se si chiude in sé stessa e “offre” l’Amore condizionatamente (se fai questo…ti puoi salvare), se divide (buoni e cattivi) anziché unire, se si preoccupa di fare proseliti o di quanti la seguano o meno (social rating?)… ha in realtà smarrito la vera funzione che ogni religione dovrebbe avere: l’Amore.
L’Amore non si compra né si vende, non si possiede, non è condizionato a qualcosa.
L’amore mi è regalato, non ho dovuto guadagnarmelo. Certo devo accettare di essere amato, ed è questo spesso il vero problema, la difficoltà: pensare di essere autosufficiente!

L’Amore non è una cosa astratta, un sentimento sdolcinato, ma un insieme di corpo (azione) e spirito (soffio).
Questo è l’Amore che da gioia perché non ha bisogno di un ritorno. E’ eterno, è Vita vera.

Amare non è tuttavia un passo unico, un salto. Più corretto sarebbe dire, cerco di amare, perché è un passaggio, un movimento più o meno lento, il percorso di una vita.
Esperienze, letture e approfondimenti mi portano a questi convincimenti, affidando a voi questa mia gratuita suggestione, liberi di valutare e vivere nel modo che più crederete giusto.
Vi lascio solo ciò che io stesso cerco di mettere in atto, al netto di insuccessi e incongruenze di comportamento.
Ciò su cui io credo è la ricerca di uno stato d’animo e di un atteggiamento che, se da un lato è di imperfezione, dall’altro sarà di movimento, di trasferimento.
Cercherò di lasciar scorrere la vita. Di non oppormi ad ogni contrasto posto dagli altri. Di non giudicare (perché non conosco chi giudico e non conosco nemmeno me stesso). Cercherò di perdonare, non solo a parole.
Di Amare.
Se lo facessimo tutti, saremmo tutti insieme, uniti nella pace e nella gioia.
Per sempre.
Ma basterebbero anche dieci persone, o anche una sola.
Perché l’Amore è contagioso ed è più forte di qualsiasi altra cosa.

Riconosciamo e gioiamo di quest’amore, ma poi ripartiamo per la vita quotidiana, dove si concreta la Verità, in un equilibrio tra Corpo e Spirito,
… perché ciò che succede, dentro e fuori di noi, io credo, avrà sviluppo e conseguenza nell’Universo.

Buona vita.
Paolo

Post scriptum:
Hei, un attimo! Ma cosa c’entra questo racconto con la medicina?
Beh si, a prima vista sembrerebbe un argomento molto lontano da questa, tuttavia vi assicuro che molto spesso, persone con malattie croniche, che derivano da stress persistenti, che lo si voglia ammettere o meno, sono vissute a lungo in uno stato di inconsapevole disequilibrio, di sofferenza, se non ansia (come la cellula descritta), completamente assorbiti nella vita e nei problemi quotidiani, senza ascoltare sé stessi… dolore “curato” (?) con analgesici, ansiolitici o antidepressivi, dando la colpa agli altri, alla società, alla sfortuna… anziché a sè stessi. Sarà poi vero?? 🙄
Gli studi sulle funzioni della corteccia prefrontale (cervello) e della regolazione neurologica top-down degli organi periferici (con conseguenti malattie organiche) stanno facendo passi giganti… se si vogliono ascoltare! 😉